Racconti

sabato 21 novembre 2015

All The World's Futures all'Arsenale

I "futuri" presenti all'Arsenale pongono anch'essi molti interrogativi e provocazioni, tuttavia si presentano anche avvolgenti di luci, colori e  suoni, con un richiamo costante alla vitalità, alla memoria ed all'umanità delle persone. Soprattutto, il futuro siamo noi.

Il primo impatto è già bivalente: i neon fluorescenti di Bruce Nauman, tra cui quello a forma di svastica intitolato "American violence"  che interseca brevi frasi intermittenti come ritornelli inquietanti,  si fondono con l'oscurità delle inquietanti ninfee formate da lame di Adel Abdessemed. 

Il Chronicle Theater Project di Qiu Zhijie ci accoglie in una sorta di stanza delle meraviglie fatta di antiche lanterne, uccelli argentati sospesi, maschere di bambola, candelabri, specchi convessi, recuperati da magazzini teatrali: la sensazione è quella di un fantasioso e caotico fluire di vita e di esperienze, con un forte richiamo di fondo alla cultura tradizionale cinese.


L'installazione di Katharina Grosse, Untitled Trumpet, con i suoi colori, tessuti e detriti avvolge completamente il visitatore nel suo caos cangiante, dando la sensazione di essere inglobato nelle macerie ma anche nell'infinita possibilità di costruzione e cambiamento.

L'artista francese Lili Reynaud Dewar propone My epidemic (Small bad Blood Opera), installazione complessa fatta di video, musica corale e testi scritti su drappi appesi: la donna del video, che balla nuda nelle sale di un museo, rivendicando una libertà artistica ma anche sessuale, si combina con le parole dei testi stampati sui drappi colorati  e con quelle cantate in sottofondo, che richiamano da un lato amore e libertà e dall'altro responsabilità e sincerità.
L'artista francese ci e si  interroga sul tema dell'AIDS, dell'amore e della protezione di sè e degli altri.
Non ci sono facili risposte ma un'emozionante riflessione sulla libertà e sui sentimenti.


Liisa Roberts propone "Petersburg Underground": si dice che per il fregio di una delle stazioni della metropolitana di Leningrado, raffigurante lavoratori delle principali professioni, avessero posato lavoratori reali. Prendendo spunto da questa leggenda, l'artista ritrae persone qualunque che svolgevano proprio quelle professioni all'epoca della costruzione.

Adrian Piper ha portato alla Biennale il suo Probable Trust Registry: The Rules of the Game #1–3
ogni visitatore può firmare una dichiarazione con cui si assume uno dei tre impegni proposti (“I will mean everything I say”; “I will do everything I say I will do”; “I will always be too expensive to buy”): una copia viene consegnata a chi firma, la copia digitale viene conservata per cent'anni presso l’Apra (Adrian Piper Research Archive) Foundation, con sede a Berlino. 

www.adrianpiper.com

Le opere di Ricardo Brey sono invece contenute in teche che si presentano come microcosmi di fantasia, popolati di insolite creazioni fatte di colori, luccicanze e materiali di vario genere in originali combinazioni: mi hanno ricordato certi oggetti che conservavo da bambina, intrisi di sogni e simboli di desideri e bellezza.
La stanza che più mi è piaciuta dell'Arsenale ospita le opere di due artisti che entrano in perfetta risonanza tra loro: l'opera di Kutluğ Ataman “The Portrait of Sakip Sabanci” parla dell’uomo d’affari e filantropo turco Sakip Sabanci tramite quasi diecimila piccoli schermi che raffigurano ognuno una persona che l'ha conosciuto, quasi a testimoniarne la vita nella presenza di tante persone così diverse.
A parete i ritratti di Chris Marker in "Passengers" fermano le espressioni tristi, stanche, allegre o pensierose di persone delle età e condizioni più diverse, immortalate  sedute in metropolitana ma in realtà quasi perse dentro se stesse, tanto da poter rappresentare le emozioni universali di ogni persona. 



Juan Carlos Distefano nel padiglione argentino modella nei materiali più vari le sue figure estremamente espressive, vittime di una violenza fisica o morale che finisce per deformarle.



Nel bacino delle Gaggiandre all’Arsenale di Venezia prende il volo la Fenice di Xu Bing, realizzata con scarti di cantiere.

Nel Padiglione Italia mi ha colpita l'opera di Marzia Migliora, che richiama in maniera originale e personale la natura morta da un lato e i ricordi d'infanzia dall'altro: l'osservatore si affaccia da dentro un armadio e vede riflessa in uno specchio una distesa di pannocchie, immagine della cascina del padre dell'artista... oltre all'armadio e a se stesso, riflessi nello specchio e parte dell'installazione. 

martedì 3 novembre 2015

All The World's Futures ai Giardini della Biennale

La Biennale in corso s'intitola "All the future's world", ma non conduce solo nel futuro e nei futuri possibili, ma anche nei passati e nei presenti che a quei futuri danno origine.
Questi passati, presenti e futuri sono a volte terribili e carichi di sofferenza, altre volte psichedelici e coloratissimi, altre ancora artificiali ed alienanti.
Ma spesso l'accento più importante cade sulla responsabilità personale di ciascuno di noi, con un forte richiamo a quanto il domani sia figlio diretto del nostro impegno e dei nostri sogni, di oggi e di ieri.

Non resta quindi che fare ciascuno le proprie particolari valigie per il futuro, con "Il muro occidentale" di Fabio Mauri, la cui opera accoglie i visitatori nella pima sala del Padiglione centrale dei Giardini.
Le immagini sgranate in bianco e nero di Adrian Piper, fotocopie di fotografie in parte cancellate dalla scritta "Everything will be taking away", ci ricordano l'incertezza e la paura che il domani ci rubi ciò che abbiamo...e che forse a volte diamo un po' troppo per scontato.


Mi è parsa splendida la stanza interamente dedicata all'artista africana Wangechi Mutu, che tra video, collage e scultura mostra un futuro sospeso tra l'apocalisse e la speranza, dove il ruolo della donna è centrale: la figura femminile di "She's got the whole world in her", che passa attraverso una gabbia intricata e terribile per raggiungere un nuovo pianeta sospeso davanti a lei, è una delle opere che più mi ha affascinato dell'intera esposizione.


Un futuro inquietante, robotico e privo di umanità, è invece quello raffigurato dai surreali quadri dell'artista giapponese Tetsuya Ishida.
Recalled

Awakening

I muri del grande spazio bianco del padiglione serbo citano le tante guerre del passato, incorniciando i brandelli che ne rimangono, tutti così uguali alla fine.

La natura invece è vita e movimento: l'albero del padiglione francese si muove, lentamente ma significativamente, ed entra in risonanza con gli spettatori intorno, in una continua reciproca relazione.
L'artista brasiliano Antonio Manuel introduce il visitatore in uno spazio intrigante e quasi sospeso, attraverso brecce su muri coloratissimi, in cui una bisaccia stilla gocce lente, inesorabili, implacabili all'interno di una gabbia di legno: la sensazione che ne ho ricavato però non è stata di inquietudine, quanto di quasi rassicurante protezione, continuità, possibilità.


Gli emozionanti dipinti esposti nel padiglione romeno "Darwin's Room" da Adrian Ghenie evocano con estrema ricchezza di colori e di espressività la mitologia, la fantasia ma anche i fanatismi che popolano l'arte e la storia, sotto una luce insolita: si va dall'incontro nel bosco tra uomo e belva di "Persian Miniature" al rogo nazista di libri in "Opernplatz".  
Persian Miniature

Opernplatz

Dopo questa variegata avventura, se non avessimo trovato la nostra chiave per i futuri sognati o possibili ... possiamo cercare di afferrarla nel magico padiglione giapponese, fino al 22 novembre, giorno di chiusura della Biennale, naturalmente!


www.artribune.com

martedì 29 settembre 2015

Anish Kapoor alla corte del Re Sole

Che ci fa l'arte contemporanea nel giardino di Versailles?
Rende omaggio a Luigi XIV nei trecento anni dalla morte...e come minimo stuzzica la curiosità di vedere l'effetto che fa;-)

Così, a fine agosto, finalmente a Parigi per qualche giorno, ho approfittato della prima giornata di sole in una settimana purtroppo piovosa per visitare i giardini del castello e l'esposizione delle opere di Anish Kapoor in questo contesto straordinario!

Sky Mirror


Le opere "riflettenti" mi hanno convinta in questa collocazione, forse perchè quello degli specchi è un "linguaggio" comune con le splendide stanze al castello e finisce mettere in risonanza l'interno e l'esterno, l'imponenza dell'architettura e l'immensità del cielo.


Oltre a riflettere facciata e visitatori fusi in una sola visione, come in "C-Curve"...e rovesciare la prospettiva!



Anche "Dirty Corner", nonostante l'irriverente soprannome di "Vagina della regina" (!!!), con la sua cornucopia color rame adagiata sul prato, fin dal primo sguardo si fonde con il paesaggio che è un capolavoro di acqua, verde e fiori.





Proprio il linguaggio dell'acqua, che a Versailles è anch'esso già molto presente, è quello parlato da "Descension" : qui però l'acqua è un gorgo inquietante che sembra trascinare verso gli inferi.



Ho apprezzato particolarmente l'evidente contrapposizione con l'opera "Ascension" dello stesso Kapoor, esposta nella basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia nel 2011, che invece evocava con aerea leggerezza l'elevazione dello spirito.



A dire la verità, invece, "Sectional Body preparing for Monadic Singularity", l'opera posta nella radura al centro del Bosquet de l'Etoile, mi ha lasciata un po' perplessa, forse perché per forma, colore e materiale si contrappone fortemente all'ambiente circostante, pur essendo alla fine una specialissima finestra puntata sul cielo.



Non ho visto l'ultima opera, "Shooting into the Corner", allestita nella Sala del Jeu de Paume: troppo sanguinolenta per i miei gusti impressionabili!

http://www.chateauversailles.fr - Photo: Tadzio © Anish Kapoor 2015

Se vi trovate dalle parti di Parigi (beati voi!) l'esposizione rimane aperta fino al 1° novembre; l'ingresso ai giardini è gratuito, salvo nei giorni in cui si svolgono gli spettacoli delle "fontane musicali" (Grands Eaux Musicales) ed i Giardini Musicali, attualmente martedì, sabato e domenica.

E naturalmente, ci sono le meraviglie del giardino delle Reggia da ammirare!



domenica 26 luglio 2015

The Union of Fire and Water

In campo Santo Stefano, vicino al Conservatorio, sorge Palazzo Barbaro, antica residenza di Giosafat Barbaro, ambasciatore veneziano che viaggiò a lungo tra le città dell'Azerbaijan verso la fine del '400.



Così ora non è un caso che il portone di Palazzo Barbaro si sia aperto per ospitare "The Union of Fire and Water", evento collaterale della 56^ Biennale presentato da YARAT, ente no profit che si occupa di arte contemporanea a Baku, proprio in Azerbaijan.



E sono proprio le suggestioni ed i richiami della sovrapposizione storica e culturale tra Venezia e Baku ad ispirare in buona parte le opere qui esposte dai due artisti presenti, Almagul Menlibayeva e Rashad Alakbarov.
Forse proprio per questo queste istallazioni si fondono in maniera soprendentemente armonica con gli antichi ambienti di palazzo Barbaro.

Già il leone di pietra di Alakbarov (Lion of Fuzuli) che mi ha accolta nel cortile, ad esempio, mi aveva lasciato inizialmente il dubbio se appartenesse al palazzo o fosse un'istallazione.


 


Nel salone principale il castello di carte di "Precariousness of history" richiama guerre succedutesi nei secoli, sanguinose e per lo più inutili, che, come ci ricorda la parte del mazzo ancora disponibile, non aspettano che di ripetersi.





Anche le istallazioni video di Almagul Menlibayeva sono intelligentemente collocate all'interno delle stanze per sfruttarne l'atmosfera: così gli schermi di "Fire talks to me" si riflettono in maniera suggestiva nell'antico specchio della parete di fronte e sfruttano le finestre per far quasi "parlare" la stanza.





Ma l'opera a mio parere più intrigante è l'intrico di scale in legno che il visitatore è obbligato a percorrere su e giù per attraversare la stanza e proseguire il percorso ("Untitled" di Rashad Alakbarov, ma il sottotitolo è ironico e illuminante: Omnes viae ducunt Venetias).



 


Visivamente interessante è anche il gioco di luci e spade dello stesso artista in Do Not Fear.