L'esposizione della Biennale Viva Arte Viva ai Giardini secondo me risente, più che negli anni precedenti, della frammentazione data dalla coesistenza dei diversi padiglioni nazionali, da un lato, e del Padiglione Centrale dall'altro lato, che contiene i primi due dei nove "trans-padiglioni" tematici del progetto curato da Christine Macel (gli altri sette si trovano all'Arsenale).
Pensandoci a mente fredda, credo che sia questa la ragione principale che mi ha fatto uscire un po' perplessa dai Giardini, mentre alla fine del percorso dell'Arsenale ero assolutamente entusiasta!
Naturalmente anche ai Giardini ho trovato alcune opere a mio parere interessanti, capaci di suscitare emozione e riflessioni.
Primo tra tutti il padiglione della Germania, non a caso vincitore del Leone d'oro, dove Anne Imhof presenta Faust .
Già prima di entrare il padiglione è inquietante: una specie di fortezza circondata da un recinto sorvegliato da una coppia di dobermann (discretamente ma opportunamente assistiti da un addestratore, mentre tutti li fotografavano...poverini!).
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All'interno, poi, camminare sul pavimento trasparente sotto il quale si muovono i performers, dà un impatto davvero forte di controllo da un lato e di estraneità ed incomunicabilità dall'altro
Molto bello anche il padiglione ungherese, dedicato al progetto di Gyula Varnai, Peace on Earth, centrato appunto sul desiderio e l'esigenza della pace nel mondo: in particolare mi è piaciuto l'Arcobaleno formato da ottomila coloratissimi distintivi originali di varie associazioni, società, città e movimenti degli anni ’60 e ’70.
All'interno del padiglione del Canada, Geoffrey Farmer presenta “A way out of the mirror” (Una via di uscita dallo specchio): vediamo alcune fotografie del 1955 riguardanti l’incidente tra un treno e un camion di legname, in cui rimase ferito il nonno di Goeffrey che morì pochi mesi dopo.
L'installazione evoca quindi l'assenza ma anche il ricordo, e, nella parte esterna, un’esplosione: con il tetto strappato, le pareti e le assi rimosse e cadute dentro una fontana dalla quale esce un getto di acqua perpetua, che lascia però anche una splendida sensazione di vitalità e continuità dell'esperienza.
Quando si entra nel padiglione della Gran Bretagna, tra le gigantesche sculture in tessuto e materiali poveri di Phyllida Barlow, chiamate Folly, sembra di camminare all'interno di una strana foresta, in parte grigia in parte coloratissima, che evoca da un lato la struttura urbana, dall'altro un confortante artigianato.
Nel Padiglione centrale, sono rimasta impressionata soprattutto dal Padiglione degli artisti e dei libri: in particolare, mi sono piaciute le opere che evocano il processo creativo ed il ruolo dell'artista, come nel disordine colorato e fecondo di In between the lines 2.0 di Katherine Nuñez e Issay Rodriguez
Yelena Vorobyeva e Viktor Vorobyev, The artist is asleep: nel mondo di oggi, dormire è considerato quasi una perdita di tempo, ma il riposo, come la riflessione, è una dimensione essenziale della creazione artistica ma anche, se ci pensiamo bene, dell'essere veramente umano
Raymond Hains, Les jardineries du sud
E' impressionante la raccolta delle opere di Hassan Sharif in Hassan Sharif Studio, sistemate come sugli scaffali di un supermercato, ma che visti da vicino in sequenza rivelano l'estensione della ricerca di questo artista nel mondo e nel tempo
Da grande amante dei libri, ho trovato emozionanti i libri acquerellati di Geng Jianyi
Nel Padiglione delle gioie e delle paure, invece, non mi sono particolarmente ritrovata e nulla mi ha lasciato una sensazione speciale.
Mi ha letteralmente incantata, invece, il Progetti speciale di Lee Mingwei, When Beauty visits: l'artista, come in una lenta cerimonia orientale, portando un pacchetto regalo esce nel meraviglioso cortile di Carlo Scarpa, posa il pacchetto su una sedia e invita uno dei visitatori, scelto in quel momento, a uscire con lei e a prendere il pacchetto, che dovrà aprire solo al suo prossimo incontro con la bellezza!