Racconti

venerdì 24 novembre 2017

Viva Arte Viva all'Arsenale

Domenica arriva il giorno di chiusura anche per questa 57^ Biennale d’arte, che mi è piaciuta molto soprattutto nell’esposizione all’Arsenale, dove, pur nella sua complessità, il percorso è molto definito e significativo.

Si inizia con il Padiglione dello Spazio Comune, dove mi ha colpito in particolare The Mending Project, di Lee Mingwei, lo stesso artista di When Beauty Visits che tanto mi aveva colpito ai Giardini.
Anche questa è un’istallazione che interagisce con il pubblico: chiunque può infatti portare un proprio capo di vestiario strappato, che verrà rammendato dai performers ed unito con gli altri e con i tantissimi rocchetti di fili colorati distribuiti sulla parete. Visivamente secondo me ne risulta una suggestiva valorizzazione dei legami e del gesto di riparare.






Il Padiglione della Terra si apre con la bellissima istallazione video di Charles Atlas, The Tyranny of Consciousness, che infatti si è aggiudicata una delle menzioni speciali della giuria di questa Biennale:  l'opera combina due video, uno che vede il montaggio parallelo di una serie di magnifici tramonti, mentre un orologio digitale proietta a a terra un conto alla rovescia




mentre, nell'altro video, una celebre drag queen newyorkese, Lady Bunny, balla e canta, su una travolgente musica dance stile anni '70, uno splendido discorso sul tema della politica e della pace  

Non capisco da dove viene l’avidità che sta causando la guerra, l’avidità che sta uccidendo il pianeta (l’unico pianeta che ci è dato da vivere)

Non capisco da dove deriva il desiderio di oppressione, ma succede a ogni livello della nostra società

a meno che non ci mobilitiamo


È veramente folle e nessuno sta parlando di pace. 
 

Non voglio vivere in un mondo senza pace.


Entrambi i video sono assolutamente ipnotici: la bellezza e la forza delle immagini e delle parole mi ha incantata, sono rimasta lì fino alla fine incapace di muovermi, e come me moltissime altre persone, di tutte le età.


Poco più avanti, Michel Blazy presenta Collection de Chaussures: scarpe usate e vissute che trovano una nuova vita ospitando delle piante





Passando al Padiglione delle Tradizioni, troviamo in mezzo al percorso la sottile tenda dorata di Leonor Antunes, …then we raised the terrain so that I could see out, che crea un'atmosfera quasi magica che esalta il bellissimo ambiente delle Corderie




Lee Sookyung, in Translated Vase Nine Dragons in Wonderland, rivisita la tradizione della ceramica coreana tradizionale




Nel Padiglione degli Sciamani, Ernesto Neto apre la sua tenda ispirata ai luoghi di socializzazione degli indigeni dell'Amazzonia, Um sagrado lugar, ai visitatori che accettano di togliersi e scarpe per entrare



Perfetta per il Padiglione dei Colori l'opera di Sheila Hicks, Scalata al di la dei terreni cromatici, una bellissima cascata di balle di fibre naturali colorate




Del Padiglione del Tempo e dell'Infinito mi ha colpito l'artista argentina Liliana Porter, con El hombre con el hacha y otras situaciones breves, che lascia il dubbio se l'omino con l'ascia c'entri qualcosa o no con le distruzioni molto più grandi di lui che completano l'istallazione...



ma anche il suggestivo pavimento di Liu Jianhua, Square



All'esterno, troviamo gli incantevoli pianeti di Alicja KwadePars pro Toto




Il padiglione dell'Argentina ospita l'opera che forse mi è piaciuta di più, Il problema del cavallo di Claudia Fontes: l'energia del cavallo e la forza della ragazzina sono espressi in maniera fantastica secondo me, così come la sete di scoperta del bambino







Del Padiglione Italia, Il mondo magico, ho apprezzato in particolare l'opera di Giorgio Andreotta Calò, Senza titolo (La fine del mondo), che è visibile salendo su una struttura di tubi da ponteggio da cui si coglie, nel buio quasi totale, un mondo capovolto e sommerso, suggestivo ed inquietante





Alla fine del percorso, nello splendido Giardino delle Vergini, ho ritrovato con piacere Michel Blazy, con le scope che germogliano piante di Forêt de balais, che mi hanno lasciato un senso di magia (...dov'è la partita di quidditch?) ma anche di irreprimibile ed imprevedibile esplosione della vita e della natura. 



giovedì 16 novembre 2017

Viva Arte Viva ai Giardini


L'esposizione della Biennale Viva Arte Viva ai Giardini secondo me risente, più che negli anni precedenti, della frammentazione data dalla coesistenza dei diversi padiglioni nazionali, da un lato, e del Padiglione Centrale dall'altro lato, che contiene i primi due dei nove "trans-padiglioni" tematici del progetto curato da Christine Macel (gli altri sette si trovano all'Arsenale).
 
Pensandoci a mente fredda, credo che sia questa la ragione principale che mi ha fatto uscire un po' perplessa dai Giardini, mentre alla fine del percorso dell'Arsenale ero assolutamente entusiasta!

Naturalmente anche ai Giardini ho trovato alcune opere a mio parere interessanti, capaci di suscitare emozione e riflessioni.

Primo tra tutti il padiglione della Germania, non a caso vincitore del Leone d'oro, dove Anne Imhof presenta Faust .

Già prima di entrare il padiglione è inquietante: una specie di fortezza circondata da un recinto sorvegliato da una coppia di dobermann (discretamente ma opportunamente assistiti da un addestratore, mentre tutti li fotografavano...poverini!).

www.artequando.it



All'interno, poi, camminare sul pavimento trasparente sotto il quale si muovono i performers, dà un impatto davvero forte di controllo da un lato e di estraneità ed incomunicabilità dall'altro





Molto bello anche il padiglione ungherese, dedicato al progetto di Gyula Varnai, Peace on Earth, centrato appunto sul desiderio e l'esigenza della pace nel mondo: in particolare mi è piaciuto l'Arcobaleno formato da ottomila coloratissimi distintivi originali di varie associazioni, società, città e movimenti degli anni ’60 e ’70.




All'interno del padiglione del Canada, Geoffrey Farmer presenta “A way out of the mirror” (Una via di uscita dallo specchio): vediamo alcune fotografie del 1955 riguardanti l’incidente tra un treno e un camion di legname, in cui rimase ferito il nonno di Goeffrey che morì pochi mesi dopo.

L'installazione evoca quindi l'assenza ma anche il ricordo, e, nella parte esterna, un’esplosione: con il tetto strappato, le pareti e le assi rimosse e cadute dentro una fontana dalla quale esce un getto di acqua perpetua, che lascia però anche una splendida sensazione di vitalità e continuità dell'esperienza.








Quando si entra nel padiglione della Gran Bretagna, tra le gigantesche sculture in tessuto e materiali poveri di Phyllida Barlow, chiamate Folly, sembra di camminare all'interno di una strana foresta, in parte grigia in parte coloratissima, che evoca da un lato la struttura urbana, dall'altro un confortante artigianato.






Nel Padiglione centrale, sono rimasta impressionata soprattutto dal Padiglione degli artisti e dei libri: in particolare, mi sono piaciute le opere che evocano il processo creativo ed il ruolo dell'artista, come nel disordine colorato e fecondo di In between the lines 2.0 di Katherine Nuñez e Issay Rodriguez




Yelena Vorobyeva e Viktor Vorobyev, The artist is asleep: nel mondo di oggi, dormire è considerato quasi una perdita di tempo, ma il riposo, come la riflessione, è una dimensione essenziale della creazione artistica ma anche, se ci pensiamo bene, dell'essere veramente umano



Raymond Hains, Les jardineries du sud



E' impressionante la raccolta delle opere di Hassan Sharif in Hassan Sharif Studio, sistemate come sugli scaffali di un supermercato, ma che visti da vicino in sequenza rivelano l'estensione della ricerca di questo artista nel mondo e nel tempo




Da grande amante dei libri, ho trovato emozionanti i libri acquerellati di Geng Jianyi



Nel Padiglione delle gioie e delle paure, invece, non mi sono particolarmente ritrovata e nulla mi ha lasciato una sensazione speciale.

Mi ha letteralmente incantata, invece, il Progetti speciale di Lee Mingwei, When Beauty visits: l'artista, come in una lenta cerimonia orientale, portando un pacchetto regalo esce nel meraviglioso cortile di Carlo Scarpa, posa il pacchetto su una sedia e invita uno dei visitatori, scelto in quel momento, a uscire con lei e a prendere il pacchetto, che dovrà aprire solo al suo prossimo incontro con la bellezza!







martedì 4 luglio 2017

Arte in Strada Nuova

Come sempre, l'inaugurazione della Biennale Arti visive ha portato con sè un fiorire di mostre ed eventi collaterali che semina arte contemporanea in tutte le zone di Venezia.

Così una semplice passeggiata lungo la Strada Nuova si trasforma in un'autentica scorpacciata d'arte! 

A Palazzo Flangini, nei pressi di Campo San Geremia, fino al 10 luglio è allestita la mostra End of Utopia, promossa dalla galleria d'arte Studio la Città che ha invitato due artisti americani, Jacob Hashimoto ed Emil Lukas, a dialogare, tramite le loro opere, con questo bel palazzo settecentesco. 

Jacob Hashimoto ci accoglie al piano terra con la sua installazione site specific che fluttua sulle nostre teste con i suoi piccoli aquiloni bianchi e neri di carta e bambù, sospesi dal soffitto, che ad un esame più ravvicinato rivelano piccole stelle che scompaiono e riappaiono a seconda del punto di vista.


Al primo piano, Emil Lukas crea tre gruppi di opere, separati ma interconnessi: Lens, Puddles, Threads (Lenti, Pozzanghere e Fili).



In fondo al salone del piano nobile, una sorta di lente gigantesca composta da tubi di alluminio saldati uno di fianco all'altro accoglie il visitatore, incastonata nell'architettura del palazzo, e sembra cambiare forma a seconda del punto di osservazione. 

Le lenti appese alle pareti delle stanze laterali, oscure e cangianti, risultano evocative di una profondità e di un altrove, giocando di rimando con le finestre, gli arredi ed i caminetti d'epoca del magnifico palazzo che le ospita.





Proseguendo lungo la Strada Nuova, si incontra Palazzo Mora con le sue esposizioni: il padiglione di Kiribati ma soprattutto la mostra PERSONAL STRUCTURES - open borders, organizzata da GAA Foundation per European Cultural Centre.

Si tratta un'esposizione molto ricca ed eteronegenea, dove non mancano gli spunti interessanti e suggestivi: mi ha particolarmente colpito l'esplosione di forme e colori all'arrivo al piano nobile, in particolare l'opera di Peter Riss, The Carousel, e i luccicanti mostricciatoli di Tsai Wei-Cheng.



Sarà perchè ho un debole per le borse, ma mi sono innamorata dell'opera di Beatriz Gerenstein, The objects of Desire: queste borse-gioiello stilizzate e ridotte a pura struttura, quasi fossero antenate primitive delle hand-bag di culto diventate oggi veri e propri status symbol, mi hanno fatto sorridere oltre che pensare a quanto effimera sia l'importanza che diamo agli oggetti di moda, ma anche quanto in qualche modo ciascuno li usi come espressione della propria personalità.



Alcune stanze dell'esposizione, poi, mi sono sembrate particolarmente riuscite sotto il profilo dell'accostamento delle opere di diversi artisti tra loro e con l'ambiente che le ospita: così l'opera di Josef Baier, Logarithmic spiral, incorniciata tra quelle di Paul Critchley e di Laina Hadengue (Rauric 12Après moi la déluge


Mi hanno poi colpito molto per la gioia ed il senso di libertà che mi hanno trasmesso le ragazzine-skateboarders di Jessica Fulford-Dobson, in Skate girls of Kabul.




Affascinante anche il candeliere in resina sovrastato da una figura umana dormiente di Caroline Kampfraath, intitolato The trees weep upon us, We’ll be Fossils by Then.


Un'altra stanza che mette in connessione in modo interessante due opere è quella che ospita Miroslav Trubač, con Judas, e Robert Szittay, con l'opera Alter Ego: due modi diversi ma secondo me assonanti di rappresentare il viaggio e la caducità dell'essere umano.

Infine è un interessante esperienza quella proposta da Yoko Ono, in Mirror Image: una stanza foderata di specchi di diversa foggia al cui centro il visitatore può sedersi alla scrivania per lasciare nero su bianco la sua idea di come pensa di apparire.



 Proseguendo, alla Chiesa della Maddalena è di scena l’artista americano Slater B. Bradley con un corpus di dipinti astratti che oscillano tra pittura e fotografia, intitolati “Solar Shields”. 
Quello che più mi ha colpito però è la scultura site specific al centro della chiesa, ispirata direttamente dall’architettura circolare della cupola della Maddalena, intitolata Crystal labirinth: è realizzata con cristalli di quarzo rosa che formano un labirinto del diametro di 7 metri, il cui centro è allineato direttamente sotto l’oculo della chiesa, a richiamare un percorso spirituale di grande effetto visivo...che infatti molti visitatori non esitavano a percorrere fisicamente!





Poco distante, il padiglione del Guatemala, a Palazzo Albrizzi-Capello, espone La Marge, ovvero il margine, evocando il punto di contatto dell'arte con la natura, ma anche con il soprannaturale.

MI sono piaciute particolarmente le opere "naturalistiche" di Giancarlo Flati, del collettivo El círculo mágico, Io albero dei margini e Dal Silenzio delle foglie.


E mi hanno emozionata anche le eteree figure in bianco che interpretano le stagioni della vita nella videoinstallazione L'anima in fiore di Andrea Prandi.

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